L’attesa del Dono: il percorso, a volte tortuoso, verso la trasformazione da “l’Io e il Tu” al “Noi”
“Sono le difficoltà che fanno nascere i miracoli.”
(William F. Sharpe)
Fin dagli albori della storia dell’uomo, la procreazione ha rappresentato uno degli aspetti centrali della sua vita. Diversamente dagli altri esseri viventi, per l’uomo la prole ha non solo la funzione di conservazione della specie, ma anche il significato di continuità del proprio sangue nel tempo e nelle generazioni successive, come pure di affermazione della propria identità come uomo o donna e come coppia. Il desiderio dell’uomo di procreare, quindi, è legato ad aspetti psicologici complessi che vanno dall’affermazione di Sé e del proprio corpo, della propria identità sessuale e di ruolo, all’affermazione della coppia e anche come semplice desiderio di dare vita al frutto del proprio amore, o come testimonianza della propria esistenza nel futuro. Il desiderio di maternità o paternità (come pure il suo opposto) non nasce dunque nel momento in cui la coppia prende la decisione concreta di generare un figlio, ma si struttura e modifica nel corso dell’esistenza degli individui, sulla base di un retaggio culturale, di tabù e credenze familiari e di convinzioni personali. Ed è proprio la natura della sua origine multipla che fa scattare nell’individuo una serie di sentimenti ambivalenti nei confronti della genitorialità: ciò non vuol dire che tale condizione sia patologica, anzi, sentimenti e paure contrastanti, se non a livelli troppo elevati, fanno parte del naturale corso della vita e verranno poi rielaborati, armonizzati e superati nel corso dello sviluppo, della presa di decisione di divenire genitori e nel corso della gestazione. Tale decisione solitamente prende piede dopo l’avvenimento di un’altra tappa fondamentale dell’esistenza: la creazione della coppia.
Già la scelta del partner non avviene in maniera casuale, ma si basa su un “patto” tacito e partecipato nel quale vengono condivisi sogni, paure e progetti. Capire quali siano le motivazioni alla base di questo “patto” consente di comprendere meglio anche cosa avviene nelle fasi di crisi per l’individuo o per la coppia stessa.
Molto spesso il patto coniugale non si basa sul desiderio di procreare, ma sulla necessità di avere un figlio: scoprire di non poter realizzare tale bisogno, quindi, pone inevitabilmente di fronte ad una crisi profonda che coinvolge non solo la sfera intima dell’individuo, ma anche l’equilibrio della relazione coniugale e i rapporti che i singoli e la coppia intrattengono col mondo esterno.
Così come la fertilità occupa da sempre un posto centrale nell’esistenza, uno dei problemi più grandi che potessero affliggere la vita dell’uomo, è sempre stata l’incapacità di procreare. Negli ultimi anni, soprattutto dagli anni sessanta ad oggi, il tasso di natalità è drasticamente diminuito, mentre sono aumentate notevolmente le richieste di consulenze per problemi legati alla fertilità. Il motivo di tale incremento in parte è ovviamente legato alle diverse prospettive di vita: se un tempo la nascita del primo figlio avveniva prima dei vent’anni d’età, oggigiorno ci si sposa molto più tardi, si entra più tardi nel mondo di lavoro, aumentano il numero di divorzi, con la conseguenza che la nascita del primogenito viene rimandata spesso a dopo i trent’anni. Poiché il picco di fertilità si aggira attorno ai vent’anni, mentre c’è una discesa drastica dopo i trentacinque, non stupisce il fatto che le coppie che si rivolgono agli istituti di cura per problemi legati alla fertilità sia aumentato in maniera esponenziale. Storicamente, la causa della sterilità è sempre stata attribuita alla donna; negli anni, grazie all’evoluzione della scienza, le responsabilità sono state ridistribuite tra uomini e donne, ma esistono comunque numerosi casi in cui non è possibile giungere alle cause del problema. In una percentuale relativamente alta, infatti, si parla di sterilità idiopatica ad indicare quei casi in cui le cause del problema non sono state rintracciate, mentre si parla di sterilità psicogena quando le cause della sterilità si sospetta siano di origine psicologica. In passato, la percentuale di casi stimati di sterilità psicogena era all’incirca del 50%, una percentuale altissima: il motivo di questa sovrastima può essere imputato alle scarse metodologie d’indagine dell’epoca, e dunque non era difficile che si giustificasse ogni sterilità inspiegata con disturbi di ordine psicologico. Con l’avvento delle nuove tecniche, questa percentuale si è di gran lunga ridimensionata, fino ad arrivare ad una percentuale del 10% circa. In realtà, ancora oggi ci sono numerosi dubbi circa le diagnosi di sterilità psicogena, poiché, come molti autori sostengono, è una diagnosi che si può effettuare con certezza solo a posteriori, nel caso di una gravidanza raggiunta al termine di un percorso psicoterapeutico.
Un altro disturbo del concepimento è l’infertilità, intesa come incapacità da parte della madre di portare a termine la gravidanza. Si tratta in questo caso di un avvenimento molto diverso sul piano psicologico: secondo la Vegetti Finzi, la sterilità può essere definita come assenza di un figlio, mai come inesistenza, poiché il bambino preesiste alla maternità e non si esaurisce con essa; nell’infertilità invece, si ha la perdita del figlio reale, che, anche se nel corpo della madre, è presente fisicamente e nella relazione con lei e con il padre. In questo caso, dunque, la coppia si trova a far fronte ad una crisi che richiede l’elaborazione non solo del lutto relativo all’incapacità di procreare e quindi di divenire genitori, ma anche alla perdita del figlio e del legame affettivo stretto con lui . Anche in questo caso, le cause all’origine del disturbo possono essere molteplici, da quelle organiche a quelle di ordine psicologico, ma che, per forza di cose, sono riconducibili alla sola figura materna.
In entrambi i casi, comunque, hanno un forte impatto gli effetti che queste condizioni possono generare nella vita dell’individuo, della coppia e del loro gruppo di appartenenza più stretto.
Per questi motivi, negli ultimi anni stanno venendo a delinearsi numerose tecniche di intervento mirate non solo alla diagnostica di disturbi psicologici pre- o post- esistenti alla diagnosi di “non-fertilità”, ma anche e soprattutto finalizzati al supporto della persona nel far fronte alla crisi di vita che ne deriva. In un momento così difficile e delicato per l’individuo e per la coppia, l’aiuto da parte di figure quali lo psicologo e lo psicoterapeuta può essere determinante, sia per quanto concerne la diagnosi, per escludere o identificare qualsiasi causa psicogena, sia nel processo di elaborazione del disturbo del concepimento, come prevenzione del disagio psicologico, sia nel superamento delle difficoltà e della sofferenza derivanti dalla mancata realizzazione di questo grande progetto: la genitorialità.
A cura della Dott.ssa Barbara Mastroberardino
Psicologa e Psicoterapeuta
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