Qualche tempo fa, navigando in rete, mi sono imbattuta in questa fotografia. Escamotage divertente ed anche brillante per arginare una abitudine che assume sempre di più l’aspetto di una criticità: il rapporto con i nostri smartphone, telefoni cellulare, tablet. Il fenomeno è riuscito ad attirare anche l’attenzione del Papa che un paio di settimana fa, dal suo balcone esortava a una riflessione su quanto il telefono, spesso, sia una fuga, nel suo caso dalla famiglia. Lo psicoanalista Massimo Recalcati qualche giorno dopo, sulle pagine di un quotidiano, approfondiva la stessa riflessione, direzionandola verso quanto questa “abitudine” nasconda, in realtà, una difficoltà sempre più dilagante in questi tempi: rimanere l’uno di fronte all’altro. Mi viene in mente l’acclamatissima azione performativa dell’artista Marina Abramovic dal titolo “The artist is present” presentata al MoMA di New York nella primavera del 2010. L’attrice per 736 ore è rimasta seduta su una sedia al centro di una sala, nel semplice atto di invitare i visitatori a sedersi di fronte a lei e a guardarsi negli occhi. I documentari che raccontano la performance lasciano spazio a immagini molto emozionanti di questi incontri.
Cosa ha a che fare la Abramovic con i cellulari? La ricerca di un incontro da cui fuggiamo. È un dato di fatto che, spesso, il nostro amato smartphone diventi un luogo di ritiro, un rifugio dove andare a stare per evitarsi il confronto con la realtà. Le vicende di cronaca sono ricche di casi di giovani ragazzi, che per mantenere “alta” la popolarità sui Social, si sfidano nelle azioni più assurde e pericolose per alzarne ancora di più il livello, in una forsennata ricerca di consenso. E cosa è un selfie se non un bisogno di mostrare al mondo il nostro lato perfetto, modificato e meglio scelto. E cosa la necessità di postare, pubblicare, riprendere sprazzi della nostra intimità e metterli li, in bacheca, alla mercé di chiunque li voglia guardare, per dimostrare, esporre, rendere pubblico chi siamo.
Ma lo sappiamo davvero chi siamo?
Allora il richiamo del Papa, della psicoanalisi e dell’arte di cosa ci vuole avvisare? Personalmente credo voglia guidarci verso una nuova consapevolezza, quella della fuga. Di quanta paura abbiamo di sederci gli uni di fronte agli altri e guardarci negli occhi e dirci veramente come stiamo e soprattutto chi siamo. Nell’incontro con l’altro, non solo nello sguardo, ma nell’emozione che nasce dalla condivisione del proprio sentire, ci troviamo sempre di fronte ai nostri limiti e alle nostre differenze; non solo alla parte bella e ben scelta che la vita virtuale ci da la possibilità di definire. Nell’incontro reale con l’altro, non abbiamo filtri da utilizzare, siamo vulnerabili, fragili, autentici e veri. È nell’incontro di una famiglia a cena che possono nascere i contrasti con i figli adolescenti, in cui entrambe le parti sperimentano la frustrazione del non sapere cosa dirsi, come dirselo e come fare a creare quel ponte che avvicina all’altro cuore, che sente e pulsa come il nostro. Ma è proprio quella frustrazione che può aiutarci a pensare e sentire nuovi modi per riuscire a raggiungere l’altro, se scegliamo di ascoltarla e non scappare nel telefono, se ci diamo la possibilità di sentirla e viverla e lasciare che ci guidi verso la riscoperta di nuove parti di noi e dell’altro. È questa l’essenza del guardarsi degli occhi, lasciarsi andare, affidarsi e mostrarsi alle persone che amiamo con la libertà che solo un incontro d’amore può costruire.
Non dimentichiamo che l’eccessivo utilizzo dello smartphone oltre che ammalare il cuore fa ammalare anche al corpo, i principali effetti a lungo termine riguardano : danni alla vista a causa della luce blu dello schermo, artrosi al pollice che usiamo per “tappare” lo schermo, tendinite al polso, dolori al collo e intorpidimento della schiena. Certamente a fianco alle criticità che accompagnano un eccessivo utilizzo di questo strumento, va riconosciuto al cellulare un enorme capacità di connessione, aggiornamento, ricerca e fruizione delle informazioni.
Come in tutte le cose, la soluzione è nell’equilibrio: scegliere un utilizzo consapevole dello smartphone, dove non è più via di fuga e costruzione di una realtà meno frustrante, ma un telefono cellulare con capacità più avanzate rispetto a un normale telefono.
A cura di Dott.ssa Claudia Russo
Psicologa Psicoterapeuta